giovedì 31 ottobre 2013

23 settembre 2013 - Stazione Mediopadana
Un'architettura irreale, dove il senso della realtà 
è svanito a fronte della ricerca di una tecnologia 
sempre più avanzata, uno spazio dove anche le 
persone che lo vivono e lo utilizzano non sembrano vere.



Calatrava è un architetto che ci ha abituato nel corso della sua carriera a rendersi particolarmente riconoscibile all'interno del paesaggio urbano nel quale realizza le sue opere di ingegneria e/o architettura. Le sue opere sono sempre distinguibili per l'utilizzo di forti elementi di carattere architettonico e di carattere ingegneristico.
Ne sono un esempio molto significativo l'uso forzato e quasi avveniristico del bianco, volto a cercare di creare un ambiente etereo, un uso del colore e dello spazio per certi aspetti freddo e distaccato da quella che potrebbe essere considerata una realtà di scarna di perfezioni, sporca di colori e di spazio-spazzatura considerando le interazioni e le ibridazioni di materia e urban-landscape contemporaneo.
Ulteriore esempio ugualmente significativo la sua incredibile attenzione per il risalto che viene costantemente dato alla struttura, un messaggio di natura ingegneristica, il quale può essere considerato quasi un richiamo a quella corrente di pensiero che parte dalle opere di ingegneria strutturale a cavallo tra la fine dell'800 e i primi del 900 fino ad arrivare al razionalismo strutturale delle opere di Guimard, Horta e Berlage per confluire in un più contemporaneo utilizzo della struttura in qualità di forma come ad esempio nell'opera di Piano a Parigi (centro Pompidou) o anche nell'opera di Vittoriano Viganò a Milano nella sede centrale della facoltà di Architettura (Politecnico di Milano).

Analizziamo a questo punto l'intervento di Calatrava per la stazione dell'alta velocità a Reggio Emilia. La stazione nasce nel cuore della pianura padana, in un luogo particolarmente scarno di urbanizzazione, il paesaggio circostante è caratterizzato da lunghe distese di campi e piccole e non molto alte costruzioni disperse all'interno del landscape. Questa ambientazione crea particolare risalto ad ogni opera di notevole interesse. Il bianco delle curve sinuose della stazione e dell'enorme volta del ponte che avvolge l'autostrada sono perfettamente riconoscibili e, anche ad un occhio profano, non rimangono inosservate.

Il ponte che collega l'uscita dell'autostrada con la viabilità della zona e, di conseguenza anche la stazione, è una classica opera dell'architetto, nella quale viene messa in mostra tutta la sua abilità nel dare risalto ad una struttura non particolarmente articolata ma notevole per realizzazione tecnica. I tiranti utilizzati a sostegno della struttura a volta sono un eccellente esempio di utilizzo dell'estetica della struttura. Essi assolvono il ruolo di struttura e allo stesso tempo sono la componente architettonica ed estetica del progetto.

Arrivati alla stazione ci si immerge in un ambiente futuristico. L'utilizzo del bianco in maniera estenuante evoca uno spazio quasi irreale, la struttura sembra una stazione aliena sbarcata sulla terra. L'interazione col paesaggio è praticamente nulla, il distacco creato dall'opera architettonica crea una sorta di realtà nella realtà. Un modus operandi probabilmente voluto dall'architetto ma allo stesso tempo una ennesima conferma di quello che ormai è diventato l'utilizzo dell'architettura nell'epoca in cui viviamo e cioè una continua competizione portata all'affermazione delle archistar nella loro dissacrante riformulazione e ricomposizione del paesaggio nel quale viviamo.


L'interno è abbastanza semplice, tutto si svolge attorno ad una hall che gioca il ruolo classico di spazio centrale. Da questo luogo partono i due corpi ascensori che portano alla banchina dei treni, mentre le scale mobili sono realizzate lungo la carreggiata. Ma proprio questo luogo evoca le sensazioni più particolari. Le luci sono diffuse, le vetrate fanno entrare la luce non in modo diretto essendo coperte dalla struttura della parte superiore e quello che si percepisce è uno spazio freddo, quasi spaziale, uno spazio che sembra esattamente quello che siamo soliti vedere quando ci vengono illustrati i rendering di un progetto. Potrebbe essere questa l'architettura 2.0? Un'architettura irreale, dove il senso della realtà è svanito per lasciare spazio alla ricerca di una tecnologia sempre più avanzata, uno spazio dove anche le persone che lo vivono e lo utilizzano non sembrano vere. L'unica cosa vera di questo spazio sembra essere il rumore delle macchine proveniente dall'autostrada che scorre accanto e la visione del paesaggio esterno alla stazione con i pali della luce e i lunghi landscape di campi della pianura. Ovviamente non si vedono addetti ai lavori, non ci sono biglietterie o bar o negozi, tutto è virtuale.

Salendo invece nello spazio dedicato ai binari e all'attesa dei treni ci si immerge in un luogo ancora più irreale. Un'esplosione di struttura al sopra delle proprie teste. Un'enorme copertura di acciaio bianco e vetro, la luce che entra e crea strisce bianche su tutta la banchina. Nel gergo più comune si potrebbe definirla come una grande serra, il caldo della luce riflessa dalle infinte vetrate crea una sensazione di smarrimento, non è difficile immaginare la temperatura che si può raggiungere in una giornata di sole in piena estate. Si potrebbe quasi paragonare questo spazio al tanto acclamato e non sopravvissuto Crystal Palace di Londra del 1851, un grande palazzo di vetro che non a caso fu costruito e progettato dall'allora noto costruttore di serre Joseph Paxton.


Provocatoriamente verrebbe quasi da suggerire all'architetto di allestire un grande giardino botanico nella parte più esterna delle  banchine ferroviarie, oppure di utilizzare in qualche modo tutto questo calore generato dal riflesso solare a contatto col vetro. Ma forse nell'epoca in cui stiamo vivendo sarà necessario abituarsi a vivere in spazi di questo tipo, la cultura della nostra epoca ci porta ad essere più vicini ad un mondo virtuale e se l'architettura riesce a sembrarlo pur rimanendo reale forse ha raggiunto il suo scopo ed è la cosa più contemporanea che esista.



Il servizio fotografico:

lunedì 21 ottobre 2013


 Ritratti di città 
Milano, agosto 2013


In un pomeriggio caldo e malinconico, luci e ombre di una città che sembrava aver perso tutti i suoi colori...











il servizio fotografico

mercoledì 16 ottobre 2013

7 agosto 2013 - Tomba Brion
 Ogni ingresso di luce è quasi come 
la manifestazione della sua presenza.



Visitando l'opera di Scarpa ci si accorge immediatamente che siamo di fronte ad un'opera artistica studiata in ogni sua minima parte. Si respira un'aria particolare, non è solo il silenzio dovuto alla funzione del luogo destinato ad accogliere i defunti a dare quel tocco di etereo. E' la composizione stessa e l'articolazione dei suoi spazi con le sue inaspettate particolarità a creare tutto ciò.

I dettagli che caratterizzano l'intero complesso sembrano studiati quasi in modo ossessivo. Il modo di renderli scultura è una delle caratteristiche dell'opera dell'architetto, il quale usa il cemento come se fosse bronzo o ceramica. Crea sculture con materiali poveri  modellando muri e varchi, porte e stipiti, è come se gli archetipi dell'architettura da lui usati fossero paragonabili a delle statue rappresentanti figure del passato. E allora ecco che il suo muro diventa il suo Teseo e l'arcosolio contenente le due tombe della famiglia Brion la sua Venere.


Questo spazio accoglie la luce e le anime del mondo in un unico luogo. La luce scarpiana ha una potenza impareggiabile, entra ed esce da ogni spazio, viene riflessa dall'acqua e dal vetro, sbatte contro le pareti e si dissolve nel silenzio. Questo spazio ha il potere di parlare, parla la sua luce. Ogni ingresso di luce è quasi come la manifestazione della sua presenza. I due cerchi fungono da unione tra i due defunti e tra il cimitero e la vita. Si trovano esattamente in quella soglia di silenzio e luce tra il reale e l'ultraterreno, come entra la luce entra la vita nel ricordo delle persone che non sono più tra noi.



 Il servizio fotografico: